La reazione degli italiani alla guerra in Ucraina. I risultati delle rilevazioni di UniSalento
28 Aprile 2022Continuano le rilevazioni del monitoraggio in tempo reale della risposta emotiva della popolazione italiana alla guerra in Ucraina avviato da un gruppo di ricerca composto da docenti dell’Università del Salento – Dipartimento di Storia Società e Studi sull’Uomo e dell’Università di Foggia, in collaborazione con l’EICAP – European institute of cultural analysis for policy.
Il progetto, coordinato dalla professoressa Terri Mannarini, docente di Psicologia sociale all’Università del Salento, ha lo scopo di conoscere e registrare le variazioni nel tempo della risposta della popolazione italiana al conflitto in corso, di rendere i dati raccolti pubblici e fruibili anche per un pubblico non specializzato e di fornire elementi di conoscenza alle istituzioni e ai decisori pubblici per elaborare interventi orientati a sostenere una risposta resiliente della popolazione italiana alla crisi ucraina.
La rilevazione periodica su un campione rappresentativo della popolazione italiana adulta è volta a monitorare la reazione emotiva al conflitto, le strategie di fronteggiamento messe in atto, i comportamenti di solidarietà, la fiducia nelle istituzioni circa la loro capacità di risolvere il conflitto, le prospettive per il futuro, la percezione dei profughi Ucraini. I risultati vengono resi noti attraverso la dashboard online https://dash-developer.shinyapps.io/temp-app/. Sono ora disponibili i risultati della seconda rilevazione.
I risultati della seconda rilevazione (a cura della professoressa Terri Mannarini)
Emozioni
Lo scoppio della guerra in Ucraina aveva attivato, a circa tre settimane dall’inizio del conflitto, un ampio spettro di emozioni negative, in particolare tristezza, rabbia, paura, angoscia, preoccupazione e incertezza. Allo stesso tempo aveva fatto emergere un sentimento di compassione per le vittime, non disgiunto da una speranza ancora discretamente viva di approdare a una soluzione. Le emozioni sembravano esperite con maggiore intensità tra le donne (rispetto agli uomini): ciò vale sia per gli stati d’animo negativi (tristezza, rabbia, paura, stanchezza, preoccupazione, angoscia, incertezza), sia relativamente al sentimento di compassione provato nei confronti delle vittime. A circa sette settimane dall’inizio del conflitto non si assiste a una variazione significativa nella risposta emotiva. Resta invariatamente elevata l’intensità delle emozioni negative. Una leggera ma non significativa flessione si registra per i sentimenti di speranza, sorpresa e compassione.
L’impatto emotivo del conflitto appare complessivamente rilevante, suggerendo – come osservato da vari commentatori – che si tratta di una guerra che viene percepita come “vicina” non solo dal punto di vista geografico ma anche dal punto di vista psicologico. Tale impatto non sembra essersi indebolito, nell’arco di tempo monitorato, per effetto dell’abituazione e dell’esposizione continua all’informazione. Il conflitto non sembra cioè essere transitato, nella percezione soggettiva, dalla fase dello “straordinario” alla fase dell’“ordinario”.
I dati della seconda rilevazione confermano che la modalità più diffusa di risposta a quanto sta accadendo è quella di monitorare costantemente la situazione attraverso le news, di tenersi informati, di confrontarsi sull’argomento (il 72% dichiara di farlo spesso o molto spesso). Il 39% opta (spesso o molto spesso) per forme di distrazione, il 29% per attività che aiutino a mitigare gli stati d’animo negativi indotti dalla guerra e il 26% si attiva per fornire un aiuto concreto. Si tratta di quattro diverse strategie messe in campo dalle persone per fare fronte, dal punto di vista psicologico, a un evento di profonda risonanza emotiva. La strategia prevalente, quella di monitorare l’evolvere della situazione attraverso le news, è funzionale a sviluppare schemi interpretativi di quanto accade, a trovare risposte e capire cosa sta succedendo e, indirettamente, a prevedere gli eventi. Sotto questo profilo, si tratta di una strategia funzionale al benessere personale, che va distinta dalla ricerca continua di notizie negative (il cosiddetto doomscrolling: la tendenza a cercare in modo ossessivo cattive notizie online, scorrendole sullo schermo dei dispositivi digitali), la quale può sortire, al contrario, effetti negativi sulla salute mentale. Come per l’impatto emotivo, la persistenza di questa strategia sembra indicare l’assenza di un effetto di saturazione che potrebbe essere indotto dall’esposizione continuata all’informazione.
Solidarietà
Il 69% dei cittadini intervistati (era il 68% nella prima rilevazione) ha dichiarato di aver messo in atto almeno un comportamento di solidarietà nelle ultime due settimane, principalmente raccogliendo materiali per i profughi, facendo donazioni alle associazioni umanitarie, sottoscrivendo petizioni a favore della pace.
L’ampia diffusione di comportamenti prosociali (nonché la loro stabilità nel periodo di tempo monitorato) può essere messa in relazione (anche se non in via esclusiva) con l’attivazione emozionale suscitata dalla guerra, sia in termini di ansia e paura (secondo l’ipotesi del “sollievo dagli stati d’animo negativi”), sia in termini di compartecipazione emotiva con la tragedia delle vittime (secondo il modello “empatia-altruismo”). A latere va osservato che la propensione ai gesti di solidarietà concreta non è inedita per il nostro Paese, essendosi cospicuamente registrata in Italia anche nella fase dell’emergenza Covid19 e, in precedenza, in occasione di disastri o calamità naturali che hanno colpito il territorio italiano (Rapporto Censis, 2021). Sembra dunque esserci una continuità della risposta comportamentale al variare delle emergenze.
Fiducia nelle Istituzioni
Sostanzialmente stabile il dato sulla fiducia nella capacità delle istituzioni politiche internazionali e nazionali di poter contribuire alla risoluzione del conflitto, consistente solo per una minoranza dei rispondenti: una quota compresa tra il 40% e il 50% ha invece poca o nessuna fiducia nel ruolo che l’Unione Europea, l’Onu, la Nato, il Papa e il governo italiano possono giocare in questa partita. Si registra un ulteriore lieve decremento di fiducia nei confronti dell’ONU e, al contrario, un leggero incremento di fiducia nei confronti del Vaticano/Papa Francesco. Il dato va letto, da una parte, nel quadro del generale calo di fiducia nei confronti delle autorità (politiche, militari, religiose eccetera) che da decenni affligge tutti i regimi democratici, dall’altra nella cornice di una situazione geopolitica complessa, nella quale nessun attore politico, né internazionale né nazionale, è percepito, singolarmente, come dotato di sufficiente potere di influenza e risoluzione.
Futuro
Anche nella seconda rilevazione si conferma globalmente pessimistica la visione del futuro: se in riferimento a se stessi/e e alla propria vita la quota di coloro che si aspetta un peggioramento è pari al 47%, sono ancora più numerosi coloro che prevedono un peggioramento in riferimento alla condizione dell’Europa (60%), dell’Italia (66%) e delle prossime generazioni (69%). Le donne appaiono più pessimiste degli uomini nella valutazione di tutti gli scenari. È ragionevole affermare che lo scoppio di una guerra nel cuore dell’Europa contribuisca ad aumentare le preoccupazioni, l’incertezza e la paura del futuro già registrate dal 55mo Rapporto Censis sullo stato del paese (2021), a seguito degli effetti di logoramento dello stato di sospensione continuata creato dalla pandemia. Analoghi sentimenti sono peraltro stati registrati in diversi paesi del mondo, non solo in relazione allo stato di pandemia ma anche in relazione a temi ambientali (crisi climatica) ed economici.
Rifugiati
L’arrivo di profughi e rifugiati ucraini in Italia viene percepito, anche in questa seconda rilevazione, come un problema, di piccola o grande entità, su diversi piani: sul piano economico dal 75% dei rispondenti, sul piano politico dal 54%, sul piano dell’ordine pubblico e della sicurezza dal 53%, e sul piano culturale dal 40%.
Pur trattandosi di ospiti temporanei, intenzionati a rientrare nel paese d’origine non appena ci saranno le condizioni per poterlo fare, la preoccupazione indotta dall’accoglienza di un numero relativamente piccolo di rifugiati Ucraini (circa 70mila al momento della prima rilevazione, circa 100mila al momento della seconda – Fonte Ministero dell’Interno) echeggia la paura che in altre occasioni ha connotato la risposta di una parte della popolazione italiana nei confronti della categoria degli immigrati, senza distinzione tra regolari e irregolari, immigrati per motivi economici e per motivi umanitari, rifugiati e richiedenti asilo.