“Le Gratitudini” di Delphine de Vigan, un dirompente inno alla vita, in scena al Teatro Apollo
22 Febbraio 2024“Vi siete mai chiesti quante volte al giorno dite grazie? Grazie per il sale, per la porta, per l’informazione…”. Si apre così “Le Gratitudini”, di Delphine de Vigan. Un dirompente inno alla vita, che, attraverso l’adattamento e la regia di Paolo Triestino, sarà al teatro Apollo di Lecce, alle ore 21, nell’ambito della stagione del Comune di Lecce, organizzata in collaborazione con il Teatro Pubblico Pugliese.
Sul palco quattro interpreti: Lucia Vasini, Lorenzo Lavia, Paolo Triestino e Valentina Bartolo. La voce di Muriel è di Anna Gualdo. Scena di Francesco Montanaro (realizzata da Laboratorio Ferri Battuti di Paolo Bellina), costumi di Lucrezia Farinella, luci di Alessandro Nigro; musiche originali di Massimiliano Gagliardi con i movimenti coreografici di Erika Puddu. Produzione a.ArtistiAssociati-Centro di produzione teatrale.
In occasione dello spettacolo di questa sera torna l’appuntamento con “Vengo anch’io, il laboratorio a teatro per bambine e bambini, a cura di BLABLABLA. L’incontro dal titolo “La grande fabbrica delle parole – laboratorio di parole gentili” aiuterà i più piccoli a riflettere sul valore delle parole. Un’attività destinata all’infanzia con l’obiettivo di consentire ai genitori una più facile fruizione degli eventi teatrali nelle sale del Teatro Apollo. Uno spazio di partecipazione attiva nel quale genitori e figli potranno condividere, in due percorsi paralleli, l’esperienza dello spettacolo dal vivo.
Chiudere “Le Gratitudini” e pensare di metterlo in scena è stato un tutt’uno. Potrei dire che è per il tema trattato, o per l’amore per la vita che gronda da ogni pagina, o ancora per la perentoria dolcezza che ci ricorda come certe cose vadano fatte, pena il rimpianto e la consapevolezza che se il momento giusto lo vedi scorrere davanti a te, spesso si allontana e non lo incontri più. Ma non ci sono regole, non c’è qualcosa o qualcuno che è lì a dirti “Ora!”. Succede e basta. È che forse in ognuno dei quattro personaggi del romanzo c’è qualcosa di noi. Michka, la protagonista, è la nonna (o la mamma) che tutti vorremmo avere: vicina ma non troppo, attenta ma non troppo, affettuosa ma non troppo. E stringe il cuore che proprio lei, che per anni ha corretto le bozze di una importante rivista, cominci a non trovare più le parole. Un beffardo ed ingiusto contrappasso. Chi non pensa al proprio “domani”? A come saremo? Chi non ha visto negli occhi di una persona cara quel lento allontanarsi dalla vita che tanto ci intenerisce e scuote? Ma Michka ha in più la determinazione di chi vuole dire grazie, un grazie che vuole dire da sempre a chi l’ha accolta da bambina e che non ha mai detto. In qualche modo lo fa ricambiando il dono dell’accoglienza verso Marie, la figlia di una vicina di casa assente e lontana. La tirerà fuori da un destino complicato e già segnato. Al punto che Marie penserà, pur tra mille dubbi, che essere mamma è per lei possibile. Anche da sola. E ci ricorda che spesso ce la si può fare, basta volerlo davvero. Jerome, l’ortofonista che si occuperà di Michka, è lì a testimoniare che, anche qui, si può dar seguito a pulsioni che a volte ci capita di provare: dare ascolto all’altro, trovare il tempo per dedicarsi a qualcosa o a qualcuno che ci fa pensare di essere dalla parte giusta della vita. E poi il Direttore della Rsa dove viene accolta Michka. Non ha un nome, perché dare nome alle nostre paure non serve. Ho lavorato per mesi alle pagine de “Le Gratitudini”, e l’immagine che mi ha fatto compagnia è stata sempre quella di uno spazio non realistico, dove provare a restituire l’ondata emotiva del romanzo, con la consapevolezza che sul palcoscenico può germogliare una malìa che non appartiene più alla pagina, ma ad una carezza, ad un sorriso, ad un grazie sussurrato dagli occhi.