A UniSalento un “Osservatorio sui linguaggi di odio in Rete”
23 Febbraio 2021È stato presentato all’Università del Salento l’“Osservatorio sui linguaggi di odio in Rete”, istituito nel Dipartimento di Storia società e studi sull’uomo. Diretto dal professor Luigi Spedicato, docente di Sociologia dei processi culturali e comunicativi, l’Osservatorio pone al centro delle sue attività di ricerca e di intervento “il negazionismo, l’odio politico, l’apologia di regimi, la discriminazione etnica o basata sul genere e sulle abitudini sessuali, l’odio religioso e razziale, l’attacco al diverso in ogni sua accezione, la propaganda terroristica”.Il Rettore Fabio Pollice, il Delegato alla Comunicazione Stefano Cristante e il Direttore del Dipartimento di Storia società e studi sull’uomo Mariano Longo ne hanno sottolineato l’attualità e la rilevanza, invitando i media a collaborare all’iniziativa.
«La percezione della realtà e i comportamenti sono determinati dal linguaggio, che orienta e definisce l’esperienza dell’ambiente influenzando l’agire sociale», spiega il professor Luigi Spedicato, «I valori e le credenze degli individui, il pregiudizio e lo stereotipo, il sistema di attese e i comportamenti sociali agiti dipendono dalle narrazioni che le sostengono e che al contempo le alimentano. In questa prospettiva le forme di linguaggio aggressivo orientano specifici modelli di lettura dei sistemi sociali e alimentano la messa in atto di comportamenti distruttivi delle diverse forme di cittadinanza».
L’Osservatorio promuove, organizza e gestisce, anche in partenariato con altre istituzioni pubbliche di ricerca e organismi privati italiani e stranieri che ne condividono i campi di intervento e gli obiettivi, attività di studio, di intervento, di progettazione finalizzate a:
• promuovere la ricerca interdisciplinare sulle dinamiche di generazione e diffusione degli hate speech in Rete e sui social network;
• affiancare con le proprie analisi e ricerche le autorità e le istituzioni nazionali e sovra-nazionali (a partire dall’Unione Europea) nelle politiche di contrasto alla diffusione degli hate speech;
• promuovere e sostenere l’attenzione del sistema dei media (inteso in senso ampio) rispetto alla responsabilità degli operatori dell’informazione, anche attraverso azioni di formazione degli stessi;
• organizzare attività formative negli ambiti connessi con le proprie finalità e gestire progetti e servizi di prevenzione e interventi volti in particolare alle nuove generazioni, anche attraverso l’accesso a bandi europei, nazionali, regionali che si propongano di finanziare azioni positive nel campo di interesse dell’Osservatorio;
• sviluppare contatti con ricercatori e altri centri di ricerca a livello internazionale, al fine di costruire occasioni di confronto tra esperienze diverse e stimolare la costruzione di percorsi di ricerca comuni;
• istituire, in caso di disponibilità delle necessarie risorse finanziarie, borse di studio e/o di ricerca destinate a giovani studiosi per lo svolgimento di ricerche attinenti ai campi di attività dell’Osservatorio;
• sostenere la pubblicazione su riviste scientifiche nazionali e internazionali e in collane editoriali qualificate, di studi e ricerche sugli hate speech, sulle iniziative di contrasto alla loro diffusione, sulle legislazioni adottate dai singoli Stati nazionali e da autorità ed organismi internazionali;
• creare all’interno del Dipartimento di Storia, società e studi sull’uomo dell’Università del Salento una sezione specializzata della biblioteca dipartimentale, anche attraverso la creazione di una banca-dati in formato digitale sugli hate speech.
Attività nelle scuole
L’Osservatorio è attualmente impegnato in alcuni laboratori teatrali, nei quali la “parola” è intesa come strumento di espressione ed elemento base nelle relazioni sociali anche in ambienti virtuali. Attraverso le esperienze condivise dei singoli partecipanti si sta creando un “alfabeto dei sentimenti”, un metodo comparativo per raccontarsi e relazionarsi. “Il mio corpo-voce”, “Una drammaturgia partecipata”, “La preparazione del debutto”: sono questi gli aspetti che, sviluppati, porteranno alla composizione di una messinscena finale delle prove collettive sostenute.
Un altro laboratorio in corso riguarda la formazione al linguaggio sui social media, che assume come presupposto l’idea che tutto ciò che si scrive sulla rete lascia una traccia quasi indelebile. Da qui l’avvio di un percorso etico-tecnico per consentire di far comprendere ai partecipanti come gli hate speech gravano a livello individuale sia in termini di eventuali interventi giudiziari sia sulla costruzione della propria social reputation, con evidenti ricadute sul piano sociale. Le scuole attive nel progetto sono gli istituti comprensivi “Da Vinci” di Cavallino, “Colonna” di Monteroni e “Geremia Re” di Leverano e l’Istituto superiore “Don Tonino Bello” di Tricase.
Per seguire e contribuire alle attività dell’Osservatorio, i profili sui social network sono:
• Facebook: https://www.facebook.com/oltrelodiolab
• Instagram: https://www.instagram.com/oltrelodiolab/
• Twitter: https://twitter.com/oltrelodio
• Telegram: t.me/oltrelodio
• YouTube: https://youtube.com/channel/UCXcoyQAFUKvZ87LVlN0SUnA
Cos’è e alcuni dati sull’hate speech (a cura del professor Luigi Spedicato)
L’espressione hate speech significa, letteralmente, discorso d’odio, talvolta tradotta come incitamento all’odio. Si tratta di una definizione-cappello che indica qualsiasi espressione, indipendentemente dalle forme assunte (scritte o orali, verbali o non verbali, esplicite o implicite), contenente insulti, offese, dichiarazioni di intolleranza nei confronti di un singolo o di un gruppo specifico. La categoria dell’hate speech fu elaborata negli anni ‘70 dalla giurisprudenza statunitense; a livello europeo, soprattutto negli ultimi anni, si è cercato di delimitarne i confini. Stando alla Raccomandazione del Consiglio d’Europa del 1997, essa comprende «tutte le forme di espressione che diffondono, incitano, promuovono o giustificano l’odio razziale, la xenofobia, l’antisemitismo o altre forme di minaccia basate sull’intolleranza, inclusa l’intolleranza espressa dal nazionalismo aggressivo e dall’etnocentrismo, la discriminazione e l’ostilità contro le minoranze, i migranti e le persone di origine immigrata».
Con il tempo la sensibilità sul tema è cresciuta fino a comprendere, tra i potenziali bersagli delle espressioni di odio, anche le minoranze religiose, le donne, le persone LGBT, i disabili e gli anziani. Secondo un Report dell’UNESCO del 2015 intitolato Countering Online Hate Speech, l’odio online assume delle caratteristiche precise: la permanenza nel tempo; il carattere itinerante (itinerancy) del messaggio che, anche dopo la sua rimozione, potrebbe apparire sulla stessa piattaforma o altrove, con una diversa denominazione e/o tramite un diverso utente; l’anonimato – e la conseguente sensazione di impunità – tramite l’uso di pseudonimi o nomi fittizi che incoraggiano l’espressione dell’odio in rete; infine, la transnazionalità dei contenuti ovvero l’assenza di confini e la possibilità di diffusione capillare dei messaggi, che alimenta il fenomeno e complica l’individuazione degli strumenti legali per arginarlo.
La comunicazione mediata e la capacità di propagazione virale della rete, poi, ne amplificano gli effetti; senza trascurare le dinamiche della cosiddetta “polarizzazione di gruppo”. Come riscontrato da numerosi studiosi, nei dibattiti in rete, gli utenti si confrontano con persone appartenenti al proprio gruppo di opinione – spesso senza sentire alcuna controparte – finendo così per dirigersi ideologicamente verso «un punto estremo nella direzione in cui i membri del gruppo erano originariamente orientati». Da questo punto di vista, i social network, nel favorire lo scambio di opinioni, amplificano notevolmente la diffusione di questo genere di espressioni, proprio come è accaduto durante la pandemia.
Il che ha portato – già da tempo – a proporre una serie di iniziative internazionali ed europee, volte a definire il problema e a sviluppare contromisure efficaci. Volgendo lo sguardo al panorama italiano, il 31 ottobre 2019 il Senato ha approvato a larga maggioranza la mozione per la costituzione di una Commissione straordinaria per il contrasto ai fenomeni dell’intolleranza, del razzismo, dell’antisemitismo e dell’istigazione all’odio e alla violenza. Inoltre, sono stati messi in atto numerosi progetti per contrastare questo fenomeno (“Contro l’Odio”, “Parole O_Stili”, “Odiare ti costa”, “Il barametro dell’odio”).
Il lockdown che ha costretto tutti a casa per mesi ha avuto un riflesso anche sui contenuti dei social network. Non solo l’inevitabile impennata di contatti che si è registrata da quando comunicare online è diventata l’alternativa obbligata, ma anche quella dei peggiori istinti: secondo i dati dell’ultimo rapporto sull’applicazione dei cosiddetti “Standard della comunità di Facebook”, da gennaio a giugno 2020 i contenuti di incitamento all’odio (rintracciati e rimossi) sono passati da 9,6 milioni del primo trimestre a 22,5 milioni nel secondo. Più del doppio. E quasi il triplo rispetto a fine anno: erano 7 milioni negli ultimi tre mesi del 2019. Su Instagram stessa dinamica: si è passati da 808.9 mila del primo trimestre ai 3,3 milioni dei mesi aprile-maggio-giugno.
I dati del “Barometro dell’odio” promosso da Amnesty International Italia: quando il tema del commento è “donne e diritti di genere” l’incidenza dei messaggi offensivi, discriminatori o hate speech è di quasi 1 su 3. Gli attacchi personali diretti alle influencer superano di un terzo quelli ricevuti dagli uomini. Tra gli attacchi personali il tasso di hate speech rivolto alle donne supera di 1,5 volte quello dei discorsi d’odio che hanno per bersaglio gli uomini. Infine, degli attacchi personali diretti alle donne 1 su 3 è esplicitamente sessista.