Storia di Temerano, il paese fantasma tra Seclì, Neviano e Aradeo
20 Aprile 2021Questo mio racconto parte da una segnalazione dei miei amici del PRP Project Real Paranormal. In particolare dal gruppo investigativo, un’appassionata squadra di ricerca che studia i fenomeni legati al paranormale nel Salento. Oggi, grazie a loro, risvegliamo un fantasma sopito, quello del casale medioevale di Temerano, naturalmente loro di fantasmi se ne intendono.
Il nostro casale era ubicato sulla vecchia strada che da Galatone e Fulcignano portava a Temerano, oggi tra Neviano, Aradeo e Seclì.
Il documento più antico che accenna al casale di Temerano è del 1204 registrato dal vescovo di Nardò, Antonio Sanfelice, che il 21 giugno del 1719, dopo aver visitato le chiese di Seclì, andò al casale di Temerano. Qui il presule osservò, con grande rammarico, i ruderi dell’antica chiesa, vittima dell’ingiuria del tempo e degli uomini. Un tempo quel luogo era un’arcipretura rurale al servizio della comunità e un luogo, sembra, molto attivo dal punto di vista religioso ed umano.
Comunque il nostro vescovo con grande diligenza scrive che le superstiti pareti erano affrescate con le effigie di santi e graffite da iscrizioni in greco.
Ma l’epigrafe più importante era incisa sul prospetto e era scritta in latino. Egli scrive:
”IN HONOREM SANCTAE THEOTOCUM IOANNES PRESBITER EXORNARI FECIT PER MANUS WILLELMI ARTIFICIS ANNO INCANATIONIS DOMINICAE MCCIV”.
Quest’ultimo testo conservato presso la biblioteca provinciale di Avellino figura tra le lettere inviate dallo storico neretino Tafuri al Polidori.
Quest’ultimo documento ci permette di capire che nel 1204, nel periodo normanno-svevo, il casale aveva una certa importanza, grazie alla chiesa dedicata alla divina maternità di Maria Theotocum, con il committente prete Giovanni e l’intervento artistico di Guglielmo (Willelmi).
Sottostante a questa chiesa pare ci fosse un’antichissima cripta sotterranea che naturalmente rinvia alla frequentazione molto antica di questo sito, oggi fertile campagna. Lo stesso vescovo Sanfelice ci fa sapere che a Temerano, in un tempo imprecisato, si svolgevano festeggiamenti in onore di Maria nella terza domenica successiva la Pasqua, con una grande fiera-mercato in cui confluivano tante genti.
La chiesa di Temerano dipendeva dalla Prebenda Teologale di Nardò per cui il vescovo napoletano Sanfelice ordinò al suo rettore, l’abate Falconieri, di restaurarla ed incentivare il culto di Maria.
Probabilmente le tante guerre medioevali tra guelfi e ghibellini in età sveva, tra angioini e durazzeschi, ed Orsini Del Balzo e Sanseverino successivamente, spopolarono il casale senza mura di Temerano, determinando l’esodo della popolazione temeranese nei vicini paesi di Aradeo-Seclì e Neviano.
Per strada incontriamo i ruderi di una chiesa settecentesca collegata a quella che a Seclì chiamano ancora la villa delle Rose, per la presenza di un viale e un magnifico roseto che circondava la villa e la chiesa.
Il toponimo aiuta spesso a comprendere, siamo nella zona denominata ”Pozzi Dolci”, probabilmente per la presenza di una falda superficiale attiva con acqua non salina, l’inizio del casale di Temerano.
Proseguendo oggi troviamo una casa che risulta divisa in due feudi segnalati sulla facciata da due edicole votive che riprendono da un lato Sant’Antonio nella metà di Seclì e nell’altra San Nicola patrono di Aradeo. Il tutto a segnalare la pertinenza comunale, riteniamo più o meno questo il luogo ove fosse il centro abitato di Temerano, fra i due lati della strada provinciale 50 che unisce Seclì, Neviano ed Aradeo.
Ma torniamo alla storia di Temerano parlando della successione feudale. Agli inizi dell’età angioina era infeudata a Ugo de Temerano, dal secolo XIV risulta essere di Raimondo de Sancto Blasio (Sambiasi), titolare della baronia di Cannole. In seguito vi furono i Castrocucco, Giovan Battista Del Duce, agli inizi del XVI secolo Marcello Caracciolo per aver sposato Roberta Del Duce che gli portò in dote il feudo, alla fine dello stesso secolo, il casale fu di Guidone D’Amato che lo acquistò appunto da Marcello, figlio di Gian Vincenzo Caracciolo. Sappiamo poi che nella seconda metà del XVII secolo ne era signore Antonio D’Amato.
Una storia sepolta, poco conosciuta, ma che ancora oggi chiede di essere riscoperta.
Raimondo Rodia